Vergogna e paura

Leggo sui media di femminicidi tutti i giorni, uno perché se ne parla molto e due perché sono frequenti, purtroppo.
Leggo, mi indigno, provo paura, rabbia, vergogna per l’essere umano, maschile.
Leggo, provo dispiacere, quasi incredulità perché ciò che avviene possa avvenire.
Poi, un giorno qualunque di una settimana qualunque, nel centro storico di una bella città toscana sul mare, mi imbatto nella violenza, in quella violenza.
Aspetto fuori da una gelateria mio marito che si compra un cono, immersa nella mia normalità, fatta anche di dissapori proprio perché normale, quando la scena che fino a quel momento era in secondo piano rispetto ai miei pensieri diventa improvvisamente quella di un film, a grande schermo.
Un uomo, di spalle rispetto a me, parla sottovoce tenendosi molto vicino al volto di quella che potrebbe essere la sua fidanzata/moglie/compagna.
Lei, che io vedo e sento molto bene, grida di lasciarla in pace. Una volta, due volte, dieci volte.
Più lei grida e indietreggia, più lui le si fa sotto, continuando a parlare sottovoce, senza lasciarla.
La strattona.
La spinge.
Lei tenta di divincolarsi, ma non riesce.
Lui è silenzioso, ma feroce.
Lei tenta di scappare, lui la ferma.
Io sono terrorizzata, ma non faccio in tempo ad avvicinarmi perché, in meno di un minuto si svolge tutto.
L’epilogo è drammatico, sottilmente drammatico e mi sconvolge.
Lui le sequestra la borsa e la borsetta e se ne va.
Lei è attonita, deprivata, derubata, sequestrata a sua volta, senza più effetti personali, né documenti.
Lo segue, rimanendo sul lato opposto della strada.
Camminano, ma, ad un certo punto, lei decide di darsela a gambe lo stesso.
E inizia a correre, corre, corre, sempre più veloce.
Lui svolta un angolo, pieno di sé e del bottino sotto il braccio, convinto di averla in pugno.
Lei sparisce all’orizzonte, spero per sempre.

Sono passati tre giorni e stanotte ho fatto un sogno bruttissimo.
Mi inseguivano, mi picchiavano, io scappavo e picchiavo a mia volta.
I soggetti erano mostri. Come quello dell’altro giorno.

La violenza non si misura a lividi e ferite sulla pelle, la violenza è tanto maggiore quanto violenta l’anima, quando ti toglie la libertà, quando si insinua talmente a fondo da tornare a visitarti di notte, anche se ne sei solo testimone.

Quella violenza è da raccontare, per combatterla, ma, soprattutto, per rendere pubblico ciò che, apparentemente, è affare privato e, peggio ancora, affare normale.
 
Coraggio e solidarietà a tutte le persone che  stanno subendola e un augurio che ce la facciano a dirlo a qualcuno, primo passo per trovare o ritrovare la libertà.

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