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Foto di Betty Lazzarotto

Per un pugno di dollari

Non per dollari.
Solo per un pugno.
La notizia del picchiatore seriale che a Milano ha menato selvaggiamente dieci persone dopo avere loro chiesto un’informazione mi ha lasciato scioccata.
Ieri l’hanno preso, dopo la decima aggressione.
Così, senza batter ciglio, l’ha fatto e poi rifatto e poi rifatto ancora.
Chissà pensando a cosa, nel frattempo.
Me lo immagino che premedita, che programma, ma me lo immagino matto, ovviamente.
E , invece, probabilmente non lo è.
O, comunque, non lo è per una sindrome solo individuale, lo è almeno come lo sono le decine di persone che, in America, hanno giocato a quello che viene chiamato knockout game, “il folle gioco di chi si diverte a stendere i passanti a pugni”.
Cosa?
Sì, il folle gioco di chi si diverte a stendere i passanti a pugni.
La polizia dice che “non è un caso chiuso” e che “stanno cercando di capire cosa possa esserci dietro”.
Sempre che dietro ci sia qualcosa, anche se è quello che speriamo perché vorrebbe dire che c’è un
senso.
Ma, forse, un senso non ce l’ha.
Viene facile l’associazione ai video giochi, ovvero a quell’attività di gioco in cui ciò che fai si avvicina molto alla realtà, ma rimane nel contesto del virtuale e quindi, apparentemente, non ha conseguenze.
Quell’attività di gioco in cui ammazzare, ferire, accoltellare, sparare, sgozzare, menare risulta ugualmente impegnativo, ma non necessita di responsabilità, nonostante ti faccia sentire soddisfatto come se lo avessi fatto per davvero.
Il problema, di “quell’attività di gioco”, è che, come per molte altre attività piacevoli, se la eserciti  per tante, tante, tante ore, specie nell’età che dovrebbe essere evolutiva, ti procura ciò che, tecnicamente, si chiama dipendenza.
E, si sa, la dipendenza, portando assuefazione, chiede, a poco a poco, di aumentare le dosi della sostanza.
I video giochi hanno un limite, come tutto ciò che è prodotto dall’uomo e, dopo averlo raggiunto, ipotizzo io, solo ipotizzo, certo, occorre ritornare alla realtà.
Alla realtà che è certamente molto, molto più divertente e ricca e viva di un giochino a video.
Beh, quella realtà è la realtà in cui si è calato Nicolas Orlano Lecumberri.
Gli altri non sono, a quel punto, esseri umani nei quali ti identifichi attraverso l’empatia (ah, questa sconosciuta), ma immagini da colpire.

Immagini come quelle dei Pokemon che, e questo è l’ormai indubbio segnale che sono vecchia, vedo mischiarsi a quelle degli umani come se appartenessero allo stesso mondo e mi fa impressione.

Mia nipote (che di anni ne ha diciotto) mi ha detto sorridendo che un po’ le fa paura questa cosa dei Pokemon e io credo che una certa inquietudine sia proprio naturale.

Ma, soprattutto, e se io, su Pikachu mi ci sedessi sopra senza saperlo?
Cosa potrebbe succedermi?

 

 

 

 

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