Sono stanca

Sono stanca, stanca, stanca.
Il lavoro mi tiene occupata e così le chiamate alle persone care, così il preparare i pasti e le cene e così il riposo ristoratore della notte piena di strani sogni.
Ma sono stanca, come sono stanchi tutti.
È una stanchezza data dal continuo dolore per ciò che accade, per le morti silenziose e tragiche, per le fatalità che hanno governato e stanno governando l’accadere.
Se ti va bene la scampi, altrimenti ciao.
Qualche provvedimento ha migliorato le cose, ma è nelle mani della fortuna e per chi ci crede del buon Dio la sorte che ci tocca in questo momento.
Sono stanca delle parole che arrivano dalla televisione, sono stanca dei litigi, delle ipotesi, degli approfondimenti, sono stanca delle scoperte scientifiche che ogni giorno aprono nuovi spiragli o abbattono piccole rassicurazioni che a fatica avevi tentato di incollare come cerottini su ferite sanguinanti.
Sono stanca di immaginarmi la fase due, mi sento tanto nella fase uno, forse persino nella fase zero, come faccio ad immaginarmi la due?
Dubito che ce ne sia una, potrebbero essere mille ancora che ci attendono, fase tre, quattro, cinque, sei e via verso non si sa.
Ho perso l’idea che sarà il vaccino a tirarci fuori, comincio a pensare che è altro che mi può aiutare ora.
Non so ancora cosa sia, ma è altro.
È come se dovesse nascere qualcosa dentro che mi e ci porti fuori dal fosso in cui siamo.
Un fosso dentro il quale non c’è riparo, ma freddo.
Dalla quarantena bisogna uscire per sopravvivere economicamente, ma non sono i soldi che tengono vivi se si è morti.
Quando parlo con le persone hanno tutte voglia di natura. Di passeggiate nei boschi, di vedere il mare, di camminare sull’erba, di sentire il sole sulla pelle.
Tutti abbiamo bisogno di tornare a toccare il mondo e questo continuo richiamare mascherine e distanziamento sociale mi abbatte l’animo.
La mia testa capisce, il mio corpo no.
Questa stanchezza mi fa reagire con la rabbia, so che è una difesa, ma come tutte le difese scatta perché necessaria. Mi arrabbio per i tamponi che non ci sono, per la disorganizzazione generale, per la mancata responsabilità, per la burocrazia che non comprende gli uomini, per la rigidità del sistema che provoca ovunque, tutto intorno a me, disfunzionalità ed ingiustizie.
Poi, dopo la rabbia, arriva il pianto, che scioglie la tensione, ma che mi abbatte nella tristezza.
Rabbia, tristezza, pianto.
Diciamolo, diciamocelo.
Non è andato tutto bene.
Dopo essercelo detto, forse, staremo un po’ meglio, ma non perché non c’è più il problema, è perché possiamo condividerlo, il più possibile.

 

 

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