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Foto di Betty Lazzarotto

Studenti

Sarà che è lunedì anche per me e non ho fatto tre mesi di vacanza, ma, stamattina, l’onda d’urto degli studenti che marciavano come bufali verso la scuola mi ha dato molto fastidio.
E diciamolo.
Le facce dei pochi adulti che boccheggiavano cercando di farsi largo tra la fiumana incolta erano sofferenti e scocciate.
I giovani spingono, urtano, travolgono, calpestano e, non da ultimo, sbadigliano a bocca spalancata come se non ci fosse un domani.
Probabilmente, presi uno a uno potrebbero riacquistare sembianze umane, ma così, tutti insieme, creano un’entità a parte da studiare antropologicamente.
Lo so, lo so, questo sentimento è una delle prove definitive che sono diventata grande, per usare un eufemismo.
Ma sono certa, non li sopporta nessuno.
La mente cerca di andare all’indietro per recuperare memoria del mio passato: eravamo così anche noi?
No, mi dico, no, dai, no.
Mi appiglio a cambiamenti sociologici e pedagogici che vengono citati per descrivere la maleducazione delle nuove generazioni native digitali e passo in rassegna i numerosi dati che dicono di quanto poco siamo capaci di fare rispettare le regole.
Penso a noi adulti privi di autorevolezza e di rigore e alle scuole in mano alle bande dei bulli, rifletto su come non responsabilizziamo i nostri figli e su quanto sia difficile competere con la tecnologia, della quale loro sono ostaggi.
Poi, mi arrendo e ammetto che, forse, è sempre stato così.
O, perlomeno, da quando, cinquant’anni fa, è finita l’epoca della coercizione, delle punizioni, dell’ordine costituito e dell’autorità paterna, con la quale non si dialogava nemmeno.
Anche perché c’era poco da dire.
Allora, forse, ciò che mi devo chiedere non è come mai facciamo così tanta fatica a convivere, piccoli grandi insieme, o come mai vige il caos o perché la comunità adulta educante ha perso il controllo e litiga sulla pelle dei pochi figli rimasti.
Mi devo chiedere, invece, come si può fare per essere liberi davvero.
Quali nuove regole, quali nuove convenzioni ci possono permettere di riscrivere una trama di rispetto orizzontale (tra tante culture messe insieme) e verticale (tra le diverse, e molte, età contemporanee).
Chi dice cosa, chi ascolta chi, quali sono le cose irrinunciabili e quali quelle che possiamo mettere in discussione.
Il codice è saltato, tanto tempo fa, e non si può fare altro che tentare di costruirne un altro.
Con qualche riferimento: il piano geografico non può più essere solo locale, il piano sociale non può più essere solo specifico, quello psicologico non può più prescindere dalla tecnologia e quello etico/morale dall’insieme di mille popoli.
L’impresa sembra impossibile, a meno che non ci si appelli a ciò che, nei secoli, ha continuato a resistere, anche ai nostri attacchi, e che ci fa, oggi, come sempre, paradossalmente più paura.

A mezzogiorno, quando l’esercito dei futuri adulti è finalmente tornato a casa per pranzo, il sole alto che scalda le case si staglia fermo e sicuro sopra le nostre teste a dire che è soprattutto per NATURA che noi viviamo e che da questa si deve ripartire.

È a lei che dobbiamo domandare il permesso, lasciandole il passo, chiedendo per favore, senza spingere più.

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