cristalli

I disegni sui vetri

Un giorno di tanti anni fa, mentre mi raccontava della sua infanzia con un entusiasmo, mia mamma mi parlò di una cosa bellissima che faceva quando era inverno.
Nella registrazione che ero riuscita a realizzare, ho trovato le sue parole: “… mi ricordo della neve che veniva grossissima” diceva “… e poi mi ricordo dei vetri, che c’erano tutti come dei vetri come se fossero dei grandi disegni… c’era il gelo e sai che sui vetri, noi dentro, col nostro respiro li facevamo appannare e si vedeva dei bei disegni che io mi ricordo che una volta ho preso uno spunto e a scuola ho fatto questa greca perché erano così belli che dai vetri vedevo queste cose di natura fatte così… “.
Le attività del tempo libero di quell’infanzia non potevano fare riferimento non solo a quella che oggi chiamiamo tecnologia, ma nemmeno alla quantità di giocattoli, giochi da tavolo, libri per l’infanzia e giornali che divenne il patrimonio a disposizione durante il successivo florido periodo degli anni Sessanta.
I bambini non avevano che la propria fantasia, gli oggetti della vita quotidiana e la natura.
Sarebbe facile considerare quel periodo migliore e questo, invece congestionato da stimoli plurimi, tecnologici, appunto, e confusi, un peggioramento della qualità della vita, ma sicuramente occorre riflettere sulle conseguenze che ha questo cambiamento sulla crescita dell’uomo.
Occorre approfondire quali sono le differenze tra crescere in un modo e crescere in un altro, anche alla luce del fatto che la natura dell’uomo, nel suo corpo e nel suo spirito, invece, non credo si sia modificata così tanto.
Le sue caratteristiche più profonde, i suoi bisogni, le sue aspirazioni non possono essere cambiate quanto lo sono le condizioni in cui viviamo.
Certo, le due cose si condizionano a vicenda, ma, sicuramente, viaggiano a due velocità.
I bambini piccoli, anche oggi, nel gioco, preferiscono il materiale spontaneo che li circonda e che arriva dalle pratiche di tutti i giorni del resto della famiglia. Un po’ perché condiviso (e non è poco) e un po’ perché più capace di essere manipolato.
Un cucchiaio, una corda, il coperchio di una pentola oppure un mazzo di chiavi sono interessanti, ai loro occhi, proprio perché con questi oggetti da esplorare, possono fare quello che vogliono.
Possiamo fare quello che vogliamo anche con uno smartphone?
Forse possiamo fare quello che vogliamo sui binari che quello strumento ci indica, ma molta meno in libertà di quanto si possa credere.
Ci guidano le immagini, c’è una interazione, ci affascina la velocità, insomma, non siamo soli nel governare quel gioco e, per questo ci piace, ma il rischio è che tutto si fermi lì.
L’immaginazione, da sempre si sa, è il motore per creare il mondo, apre all’infinito e lascia completamente liberi di andare dove ci pare e nei giochi interattivi sul tablet non mi sembra che questo accada.
Si va dove il meccanismo ci porta.
Sono la prima a sperare che in qualsiasi attività umana l’uomo possa rimanere uomo e che il suo apporto riesca a governare ciò che accade, ma temo si stia sottovalutando il pericolo richiamato da Galimberti (1999) del predominio della tecnica che, da strumento a nostra disposizione, diventa ambiente che ci circonda e che ci costituisce.
“La tecnica –  lui dice – è il luogo della razionalità assoluta, in cui non c’è spazio per le passioni o le pulsioni,  è quindi il luogo specifico in cui la funzionalità e l’organizzazione guidano l’azione”.
“La tecnica – prosegue – non tende ad uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità, funziona e basta”.

L’argomento non è nuovo, il dibattito nemmeno ed è interessante.
Io lo ripropongo solo perché non si perda occasione di cercare di comprendere verso dove stiamo andando.

A meno che ci basti la voce del navigatore che, ad ogni nostro errore, ricalcola il percorso da fare senza prendere in considerazione l’ipotesi che noi si abbia cambiato idea.

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